L’inchiesta di Pergine: 35 mila tamponi in 2 mesi

Mercoledì 26 Gennaio - 10:50

Le indagini sono due condotte in modo parallelo dalla Procura e dalla Guardia di Finanza ed i risvolti, anche, sono plurimi perché riguardano sia l’aspetto penale che l’aspetto amministrativo. Si potrebbe dire, insomma, un mare di guai se quanto è emerso dalle prime ipotesi di accusa nei confronti di Gabrielle Macinati dovesse trovare fondamento in sede di processo. L’uomo, infermiere libero professionista, di 47 anni pare avesse creato un vero e proprio businnes del tampone eseguendo un numero incredibile di test all’interno di un uno spazio ottenuto in concessione presso il centro sportivo di Pergine e poi - recentemente - anche a Trento dove aveva allestito un secondo punto di controllo anti covid a Trento, al piano terra di una palazzina di via Senesi. Secondo quanto accertato dagli investigatori Macinati ed i suoi collaboratori, fra i quali anche la moglie, eseguivano fino a 500 tamponi ogni giorno al prezzo di 10 euro l’uno. Un calcolo che si moltiplica, se si considerano i due mesi durante i quali si sono svolti i controlli a distanza delle forze dell’ordine e che arriva a qualcosa come 35 mila tamponi con un incasso banalmente stimabile di 350 mila euro. I conti, però, non tornano del tutto perché incrociando i dati delle persone conteggiate (grazie agli appostamenti degli investigatori all’esterno delle strutture dove Macinati operava) con i dati di positività o negatività al tampone inseriti dallo stesso Macinati nel sistema informatico dell’Azienda Sanitaria i numeri degli esiti dei test sono superiori; fra le 50 e le 100 unità almeno, in più. Da qui il sospetto che alcuni esiti di questi tamponi non fossero veritieri; tesi che sarebbe anche confermata proprio dall’elevato numero di utenti tamponati che farebbe stimare un tempo medio a persona di appena un minuto o poco più. Impossibile da credere se viene considerato il tempo che serve necessariamente solo per ottenere l’esito del test al quale poi va aggiunto il tempo necessario per inserire nel sistema i dati della persona interessata. L’ipotesi, dunque, è che alcuni di questi tamponi non siano mai stati eseguiti e che ad alcuni clienti sia stato fatto notificare un falso green pass. Si tratta di capire se ciò è accaduto realmente e se con la complicità di alcuni di questi cittadini oppure no. Potrebbero, però, anche essersi verificati dei più semplici errori nelle procedure come sostiene la difesa di Macinati. Sarà uno degli aspetti da chiarire non appena il puzzle sarà stato ricomposto dagli inquirenti.

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